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Molestie verbali, la Cassazione ribadisce gli elementi di principio. Il nesso con la Sicurezza sul lavoro, i numeri e il progetto Inail.

Secondo una recentissima sentenza della Cassazione (10 marzo/6345) il licenziamento per giusta causa in presenza di molestie verbali a sfondo sessuale indirizzate ad una collega sul posto di lavoro è legittimo. L’ordinanza ha annullato la sentenza della Corte di appello che, al contrario, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento condannando il datore di lavoro a pagare l’indennizzo risarcitorio previsto dall’art. 18 della legge 300/1970, sulla base della non proporzionalità tra la sanzione (il licenziamento per giusta causa) con la gravità della condotta punita. La Cassazione ha rinviato la valutazione della proporzionalità o meno dei comportamenti attribuiti al lavoratore ad un nuovo giudice di secondo grado ma affermando un principio di carattere generale a cui lo stesso dovrà uniformarsi con la sentenza.
Il progetto Inail
Secondo la Cassazione, infatti, le frasi pronunziate dal lavoratore all’indirizzo della collega rappresentano azioni disonorevoli ed immorali, atteso che l’ordinamento qualifica in termini di discriminazione anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima degradante, umiliante od offensivo.
Le valutazioni, quanto mai pertinenti della Cassazione, mostrano un nesso forte anche con il tema della Sicurezza sul lavoro; tanto che l’Inail ha attivato un progetto “Valutazione dei rischi in ottica di genere”, che supporta i datori di lavoro con strumenti di facile utilizzo (qui il link). Il primo di una serie di volumi pubblicato nel luglio 2024 riporta i risultati degli approfondimenti tecnici e statistici effettuati e 13 schede di supporto alla valutazione di questa tipologia di rischi. Una scheda di carattere generale, in particolare, riporta una breve descrizione del rischio, i luoghi e le occasioni di lavoro dove l’esposizione è più frequente, alcuni dei più significativi effetti sulla salute e le principali misure di prevenzione e protezione. Ambienti di lavoro stressanti e ostili, carichi di lavoro eccessivi, ma anche discriminazione e molestie psicologiche e sessuali possono comportare, in mancanza di consulenza e supporto psicologico, gravi rischi per la salute mentale, e quindi per la sicurezza in generale. Già nel 2020 l’Oms dichiarava che la depressione stava diventando la malattia mentale più diffusa al mondo e, in generale, la seconda malattia dopo le patologie cardiovascolari.
I dati
E veniamo ai numeri. Come documentano diverse ricerche le molestie e le violenze sul posto di lavoro si tratta di un fenomeno in crescita. Secondo un campione intervistato per il report “Non staremo al nostro posto”, realizzato dall’organizzazione italiana no profit “We World” e presentato lo scorso 25 novembre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, le forme di violenza più diffuse sono quella verbale (56%), il mobbing (53%) e l’abuso di potere (37%), con percentuali decisamente più contenute per la violenza fisica (10%), lo stalking (6%) e la violenza online (2%). Il 60% del campione intervistato, composto da 1.100 lavoratori e lavoratrici di età compresa tra i 20 e i 64 anni, rappresentativo per età, genere e area geografica di residenza, è a conoscenza di episodi di questo tipo avvenuti sul proprio luogo di lavoro e il 42% vi ha assistito direttamente o li ha subiti. La violenza verbale e quella psicologica, in particolare, sono spesso legate a dinamiche di potere asimmetrico e colpiscono più di frequente chi occupa ruoli di subordinazione e persone più giovani o con minore esperienza. Dall’analisi degli infortuni in occasione di lavoro riconosciuti dall’Inail, (al netto di quelli occorsi agli studenti o causati da animali) emerge che nel 2023 i casi di aggressioni e minacce sono stati 6.813, il dato più elevato dopo quello registrato nel 2019. Rispetto al 2022 l’incremento è pari all’8,6% e cresce fino al 14,6% per le donne, fermandosi invece al 3,8% per gli uomini. Lo staff della Consulenza statistico attuariale dell’istituto, che ha compilato, proprio recentemente, il dossier, rileva come la maggior parte di questi episodi (61%) siano esercitati da persone esterne all’azienda, come nel caso di rapine e di aggressioni ad autisti o a personale sanitario, e in minor misura riconducibili a liti e incomprensioni tra colleghi. Nel quinquennio 2019-2023 poco meno del 45% degli infortuni per violenze e aggressioni ha riguardato le lavoratrici, percentuale che sale al 48% se si considera solo l’ultimo anno. La distribuzione per settori, la quasi totalità dei casi (mediamente il 90%) riguarda la gestione assicurativa dell’Industria e servizi, mentre il resto coinvolge i dipendenti della gestione del conto Stato (9%) e l’Agricoltura (1%). Il 43% delle vittime dell’Industria e servizi opera nel settore della Sanità e assistenza sociale, il 15% nel Trasporto e magazzinaggio e il 10% nel Noleggio e servizi di supporto alle imprese. Per le lavoratrici, in particolare, l’incidenza è particolarmente elevata nella Sanità e assistenza sociale, in cui si concentra il 70% di tutte le aggressioni alle donne.