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Autonomia differenziata: quali conseguenze per la Sicurezza sul lavoro?

Tra le materie che possono essere devolute alle Regioni da parte dello Stato centrale nell’ambito delle procedure contenute nella legge Calderoli, appena varata dal Parlamento e promulgata pochi giorni fa dal Presidente della Repubblica Sergio Matterella, c’è la Sicurezza sul lavoro.

Non solo, ci sono anche altre materie afferenti come la Salute e l’Ambiente. Il tema della sicurezza sul lavoro potrebbe inoltre presentarsi in materia di sistema dei porti e degli aeroporti civili, delle grandi reti di trasporto e di navigazione, della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
In sostanza si apre ai territori ad autonomia ordinaria un varco per accedere a quella condizione di specialità finora appannaggio esclusivo di alcune regioni a statuto autonomo come Valle d’Aosta, Friuli Venezia-Giulia, Trentino Alto Adige, Sicilia e Sardegna.

Una maggiore autonomia regionale è una previsione inserita nella Carta con la riforma del Titolo V voluta dall’allora centro-sinistra, nel lontano 2001, e finora rimasta lettera morta, malgrado alcuni “strappi” consumati negli anni scorsi da tre regioni del nord (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), nei primi due casi anche a colpi di referendum popolari. La nuova legge, quindi, è stata rubricata come “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. Si tratta di un provvedimento che assume, almeno in questa fase, una valenza essenzialmente procedurale, rimandando gli effetti sostanziali a una fase successiva quando verranno superati alcuni paletti posti dalla legge stessa.

Il primo passaggio da compiere è la definizione dei Lep. E il secondo sarà il confronto bilaterale tra le regioni che intenderanno cogliere le opportunità della nuova legge e lo Stato centrale.
In base all’art. 3 i Lep devono essere definiti per quasi tutte le materie che possono essere devolute alle regioni. Fino a quando i Lep non saranno definiti tutto resterà bloccato. Così come recita, al riguardo, l’art. 1, comma 2, della legge, secondo cui “L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”.

Si tratta di parametri che dovrebbero indicare la soglia costituzionalmente necessaria e rappresentano il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali. In altri termini, i Lep dovranno misurare la quantità minima di prestazioni da garantire. Il punto è cruciale perché su di esso si è giocata finora la battaglia politica circa il reale impatto della riforma, che deve essere misurato sul piano finanziario e anche della capacità di riorganizzazione amministrativa delle varie regioni. La Sicurezza sul lavoro è tra le materie in cui sono previsti i Lep.

Secondo Bruno Giordano, magistrato in corte di Cassazione, “è proprio l’esperienza di questi anni a dirci che la gestione da parte delle regioni della Sicurezza sul lavoro non ha prodotto risultati accettabili da nessun punto di vista”. E poi, va considerato che “ci sono leggi statali, convenzioni internazionali e leggi europee”. “Come possiamo non pensare che – aggiunge Giordano – la frammentazione possa creare quelle distonie che di fatto andranno ad intaccare il principio di uguaglianza sostanziale della figura del lavoratore da una regione all’altra?”.
Il dibattito, quindi, è appena agli inizi. Certo, la partenza rischia di essere molto complessa e farraginosa, se non addirittura disastrosa.
Il tessuto produttivo italiano, c’è infine da aggiungere, pur essendo dominato da piccole e medie imprese, in realtà non è localistico. Non solo, le filiere stesse attraversano i territori con una plasticità e rapidità sorprendente. Il mondo delle imprese si aspetta facilitazioni e non certo “norme a scacchiera”, se non addirittura il caos.